Vasile Ernu

În viaţă există lucruri mult mai îngrozitoare decît moartea BR Anna Ahmatova

În viaţă există lucruri mult mai îngrozitoare decît moartea
Anna Ahmatova
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Homo sovieticus, rievocato dallo scrittore romeno Vasile Ernu

di Horia Corneliu Cicortaș/FIRI

Il primo libro (Născut în URSS, Iași, 2006) dello scrittore Vasile Ernu, classe 1971, è stato da poco pubblicato in Italia, nell’ottima traduzione di Anita Natascia Bernacchia. (Vasile Ernu, Nato in URSS, Hacca Edizioni, 323 pp., 14 euro). Il volume  è composto da una serie di brevi frammenti autonomi che rievocano, in modo (auto)ironico, diversi aspetti della vita quotidiana nell’Unione Sovietica: da “Pioniere forever” o “Il sesso nell’URSS”, fino a “Cosa beve il cittadino sovietico?”, “La questione ebraica nell’Unione Sovietica” o “L’avventura sovietica degli oggetti”. Qui di seguito, una conversazione con l’autore del libro.

Horia Corneliu Cicortaș: A proposito dell’esistenza quotidiana vissuta dall’homo sovieticus negli anni settanta e Ottanta, rievocata nel libro, come ha vissuto la tua generazione le novità apportate dalla perestrojka?

 Vasile Ernu: Io sono prima di tutto un “prodotto” del periodo della perestrojka prima ancora di essere un homo sovieticus. Il periodo della perestrojka ha significato innanzitutto ribellione, polemica e molta apertura. È stato il periodo dei grandi cambiamenti e delle dimostrazioni continue. Allora ho imparato cosa vuol dire polemizzare, costruire argomenti, lottare e avere coraggio. È stato un  periodo delle speranze che svanite poi in questa interminabile transizione post-comunista. Per me, resta il periodo più bello.

Nel libro, io racconto la vita quotidiana in una duplice prospettiva: partendo dalla ma esperienza diretta, ma anche dall’esperienza di coloro che mi hanno raccontato il loro vissuto o le loro letture. Ma è un archivio personale e soggettivo, senza la pretesa di una verità storica e scientifica. Io voglio costruire un mondo che dice: sì, abbiamo vissuto nel comunismo, c’è stata repressione e dolore, ma in questo mondo le persone hanno vissuto, hanno amato, hanno cantato e ballato, hanno gioito e hanno pianto. È la nostra vita e non ci possiamo permettere di gettarla nel cassonetto della spazzatura.

 Rispetto ai cittadini di altre ex-patrie comuniste, senti qualche forma di solidarietà, di particolare interesse?

Penso che il mondo comunista abbia creato un certo tipo di cultura, di memoria, di esperienza quotidiana. Certo, esistono delle differenze importanti tra lo spazio sovietico e quello dei paesi comunisti dell’est, così come esistono grandi distinzioni tra il tipo di nazional-comunismo romeno (che a me sembra uno dei meno interessanti) e il comunismo polacco o ungherese. Ma vi è anche un legame comune. Per questo, quando incontriamo gente della stessa generazione degli ex paesi comunisti, abbiamo una moltitudine di racconti e di esperienze comuni. Invece, con una persona della stessa generazione appartenente allo spazio capitalista, le cose non stanno così, poiché abbiamo avuto una storia separata, anche se non così distante come può sembrare. Abbiamo anche con loro storie comuni perché la cultura di massa aveva già iniziato a funzionare anche nello spazio comunista e abbiamo avuto accesso, sia pure per poco tempo, a diversi elementi culturali occidentali (musica, film, cartoni animati, libri). Tuttavia, un certo tipo di esperienza sotto il comunismo ci rende molto più vicini all’interno dell’ex blocco comunista.

Come è stato accolto il libro sull’URSS in Russia e nei dintorni?

Riconosco di aver avuto piccoli timori riguardo alla sua ricezione nell’ex spazio sovietico e in particolare in Russia. In fondo, parlavo a persone che conoscevano benissimo quelle realtà. Ma le cose non sono andate proprio come pensavo. Sembra che il tempo crei un certo tipo di oblio, attivando un certo tipo di memoria. Vi è una nostalgia, una tenerezza rispetto al passato, rispetto ad un periodo scomparso. Sta di fatto che il volume ha riscosso un qualche successo sia di pubblico che di critica. La critica ha apprezzato questa miscela ben dosata di nostalgia, tenerezza e ironia; un ironia che manca nello spazio slavo. Per il resto, cerco di agire simultaneamente negli spazi che sento familiari: Romania, Repubblica Moldova e Russia.

Da quanto ne so, negli altri paesi post-sovietici il libro può essere ordinato solo per corrispondenza. Adesso si sta preparando una traduzione in Georgia e sto negoziando una per l’Ucraina. Naturalmente, il volume si trova, o almeno so che si trovava, nelle librerie della Repubblica Moldova.

In Romania, le prime edizioni del libro, targate Polirom, sono esaurite. Quando sarà di nuovo sul mercato romeno?

 La prima edizione è andata a ruba. C’è stata una seconda edizione, con un cd contenente testi del libro letti da Bogdan Ghiu e pezzi musicali della band russa Auktion. Poi, una terza edizione che si sta esaurendo. Il libro si trova ancora e l’editrice Polirom è interessata a pubblicare altre edizioni se ci sarà richiesta. Per uno scrittore, essere letti è la cosa più importante.

Dopo Gli ultimi eretici dell’impero, quali sono i cantieri letterari nei quali sei impegnato?

 Ho pubblicato qualche mese fa un libro insieme ad un amico, Bogdan-Alexandru Stănescu, che si intitola Ciò che ci divide. È un libro in cui polemizziamo attorno alle nostre ossessioni letterarie. Sto lavorando ad alcuni libri nuovi ma non so in che ordine usciranno. Mi è abbastanza difficile parlare dei progetti in corso perché non so come si svolgeranno. M’interessano alcuni temi chiari e i soggetti sono delineati. Sicuramente ne sentirete parlare quando usciranno, perché sono temi dolorosi che irriteranno molti.

I tuoi autori prediletti, la famiglia degli scrittori ai quali ti senti più vicino?

 Sono cresciuto con molta letteratura russa, per questo ne sono più intimamente legato. La linea Gogol mi è quella più vicina. Gogol e Bulgakov, ma anche Tolstoi e Cehov, Platonov e Babel. Come anche i più giovani Prilepin e Peperstein. Tra i romeni, mi piacciono molto i cronisti e gli avanguardisti. Nell’adolescenza, mi ha impressionato Panait Istrati. Ho letto tardi Preda e Rebreanu, ma non posso dire di avere con loro una grande intimità. Tra i contemporanei leggo Cimpoeşu, Lungu, Aldulescu, Cărtărescu (narrativa breve), Ilis e quasi tutti i miei colleghi di generazione.

La versione originale romena della presente intervista è pubblicata sul quindicinale Ora di Torino (n. 12, 27 genn. 2011).

Voci correlate: “Io non penso che la sofferenza sia la chiave di lettura del comunismo”. Dialogo con Vasile Ernu, a cura di Maria Luisa Lombardo, in eSamizdat (2008).

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23 January, 2011
in: Blog, Cronici, Interviuri, Noutati, Presa   
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